C’è il pubblico delle grandi occasioni al Teatro Savoia di Campobasso per il concerto della PFM e la band, capitanata da Franz Di Ciccio, non delude le aspettative. Concerto magistrale, suonato e cantato alla perfezione e impreziosito da una presenza scenica dello stesso Di Cioccio che, a dispetto del tempo, continua a saltare e rullare come ai tempi belli. Quelli passati con Fabrizio De Andrè, ad esempio. Il concerto, infatti, è un omaggio a quell’amico-musicista-poeta incontrato alla fine degli anni ’60, ai tempi de “La Buona Novella” e (re) incontrato nel 1978, in Sardegna, in occasione di un concerto della PFM a Nuoro. Di Cioccio la racconta quella storia: “Fabrizio non aveva la patente – non l’ha mai avuta – e si fece accompagnare da un contadino, suo amico. Non ci vedevamo da otto anni, da quel primo incontro tra il nostro rock e la sua poesia. Noi avevamo a quel punto girato mezzo mondo, ascoltato molti generi e concluso che di genere ne esisteva uno solo: la musica. Lui, invece, era lontano dalle scene, pensava che le sue canzoni fossero ormai datate, fuori moda. Gli dissi: no, Fabrizio, non è così. Allora lui ci invitò per il giorno dopo in campagna, a Tempio Pausania, dove viveva. E fu lì, tra tagliatelle ai funghi e fiumi di vermentino, che nacque una storia nuova, scritta sulla vecchia strada: quella del rock che abbraccia la poesia”.
Quello che fu il frutto di quella stagione aurea, è immortalato nei due album live (Fabrizio De Andrè in Concerto – Vol. I e II) che documentano la fortunatissima tournee del 1979. Di tempo adesso ne è passato, Faber se n’è andato nel 1999 e nel 2010, in occasione di quelli che sarebbero stati i suoi settant’anni, la PFM decise che era venuto il tempo per un omaggio all’amico andato. Riscrissero, integralmente, in chiave rock, i pezzi de “La Buona Novella”, l’album che li aveva fatti incontrare nel lontano 1970. Ne nacque un disco: “A.D. 2010 – La Buona Novella”. Questa è la Storia, la cronaca ci trasporta invece al Teatro Savoia di Campobasso, una sera di dicembre poco prima Natale.
C’è il pubblico delle grandi occasioni: giovani, meno giovani e anziani. La PFM ha oltre cinquant’anni di storia e un pubblico trasversale a tante generazioni. La serata, il concerto, la tournee che si sta chiudendo e che ha totalizzato oltre cento concerti, è interamente dedicata al cantautore genovese: “PFM canta De Andrè – Anniversary”, questo il titolo esatto. Venti i brani eseguiti dalla band che apre con “Bocca di rosa”, “La Canzone di Piero” e “Andrea”, un esordio scoppiettante col pubblico già entusiaste che batte il ritmo con le mani e canta in coro. Poi il passo diventa più intimo, e seguono: “Un Giudice”, “Rimini” e la struggente “Giugno ‘73” (“io dico che è meglio esserci lasciati che mai incontrati”) che chiude il primo dei “tre quadri” che compongono il concerto.
Il secondo dei “quadri” è un quadro mistico, il vangelo riletto alla maniera di De Andrè, con le sue figure che diventano e restano umane: Cristo, Maria, Giuseppe. E’ qui, in questo punto esatto del concerto, che la fusione tra poesia e rock raggiunge vette di una bellezza straordinaria con arrangiamenti che al rock mischiano la musica progressive e quella classica. Di questa sezione, di questo quadro, è sicuramente “il Testamento di Tito” il pezzo di maggiore impatto.
Il terzo “quadro” apre con la commozione. Di Cioccio dal canto torna alla batteria e lascia vuoto il centro del palco. Parte “La Canzone di Marinella” e la voce che gli altoparlanti mettono in circolo dentro al teatro e quella di Fabrizio De Andrè che, per un attimo, torna a vivere. Alla botta, fortissima, di commozione, per contrappeso seguono due pezzi pirotecnici tratti dal periodo sardo di De Andrè: “Zirichiltaggia” e “Volta la Carta”, il primo un canto in lingua gallurese, il secondo una vera e propria giga in stile irlandese; entrambi i brani firmati insieme a Massimo Bubola. “Amico Fragile”, invece, ferma di nuovo il tempo, i battimani e i corpi che ballano dentro i palchi solenni del Savoia. Una canzone struggente, che entra dentro la carne come un artiglio e fa male, come fanno male musica e parole. Poesia altissima: “è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra”.
Il concerto è finito. C’è tempo per il gran finale, con “il Pescatore” e due brani, anzi uno e mezzo, interamente della PFM: “Festa” e un accenno, solo un cammeo, con “Impressioni di Settembre”. Il pubblico è tutto in piedi, una standing ovation tra battimani fragorosi e nostalgie di un tempo che è passato solo negli anni ma che è rimasto impresso fisso nella memoria. Applausi che vanno alla band e che, per estensione, vanno indirizzati anche a Palazzo GIL, sede della Fondazione Molise Cultura, dove l’evento è stato pensato e organizzato.
(recensione di Pasquale Di Bello)
Scrivi un commento